
“Come si fa ad amare ciò che non si comprende e come si fa a comprendere ciò che non si ama?”
Queste domande hanno un valore universale che trascende l’ambito di fede. In qualsiasi contesto, la comprensione è legata all’amore e viceversa.
Quando diciamo “voglio comprendere” stiamo dicendo anche “voglio amare”. “Comprendere”, come suggerisce la parola stessa, non si risolve nel confronto con se stessi ma riguarda il rapporto con gli altri: per questo non può mai dirsi definitivamente acquisito, né frutto di un percorso di autonomo apprendimento.
Non si finisce mai di imparare perché non si smette mai di comprendere l’altro e perché gli altri sono una componente essenziale nella nostra comprensione del mondo, di ciò che siamo e di ciò che facciamo. Per questo anche la comprensione di noi stessi, degli altri e del mondo procede tra alti e bassi, cadute e nuovi inizi, parallelamente alla nostra capacità di amare.
Nella fede la dinamica è la stessa. Gesù rimprovera spesso i discepoli perché incapaci di comprendere. Solo dopo la morte, con la sua Resurrezione, essi capiranno il significato delle scritture rileggendo la sua vita dall’inizio, il suo dono d’amore. E lo capiranno nella misura in cui sentiranno Gesù stesso ancora vivo e presente in mezzo a loro, corrispondendo finalmente a quell’amore che gli ha fatto ardere il cuore, vincendo definitivamente la morte.