Nel film Interstellar (2014) di Christopher Nolan una piaga che colpisce tutte le colture mette a repentaglio la vita dell’uomo sulla Terra. Dopo una serie di vicissitudini, il protagonista del film, l’astronauta Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, riesce a dare una nuova speranza all’umanità grazie all’amore per sua figlia Murph da cui si è allontanato suo malgrado, quando era ancora piccola, proprio per salvarle la vita. L’umanità è costretta a lasciare la Terra per un nuovo pianeta, anch’esso abitabile, e lo fa grazie alla comunicazione che si instaura tra il padre e la figlia, nonostante le distanze siderali che li separano. I due riescono a mettersi in contatto ed a rincontrarsi superando i limiti imposti dallo spazio-tempo, grazie all’intervento di intelligenze superiori.
Per chi ha qualche dimestichezza con le Sacre Scritture, è impossibile non cogliere, già dal riferimento al termine piaga, il richiamo ai temi apocalittici, a cominciare da quelli che troviamo nella Torah, la Legge ebraica, che corrisponde ai primi cinque libri della nostra Bibbia. Mi riferisco in particolare alle 10 piaghe che colpiscono l’Egitto, secondo il racconto che troviamo in Esodo (Es capitoli 7-12). Qui si narra di come Dio, a causa della durezza di cuore del Faraone che non lascia partire il popolo ebraico, colpisce con una serie di calamità la terra delle piramidi. Alla fine il Faraone, spinto dal popolo egiziano, ormai stremato dalle piaghe, lasciare partire il popolo ebraico che, liberato dalla schiavitù grazie all’intervento divino, ricorderà e celebrerà questo evento ogni anno, nella Pasqua.
Ancora prima dell’Esodo, la sapienza dei racconti biblici presenti nel libro del Genesi ci narrano di come la gelosia e l’orgoglio tra gli uomini siano alla base dell’omicidio di Abele da parte del fratello Caino (Gen 4,9-11), a cui Dio stesso chiede conto: “Dov’è Abele, tuo fratello?“. Così nel racconto del Diluvio universale (Gen 7), sappiamo che a causa della malvagità dell’uomo sulla Terra, Dio si pentì di aver fatto l’uomo ma anche che grazie ad un solo uomo, Noè, che si mantiene integro e giusto, l’umanità avrà la possibilità di un nuovo inizio, sopravvivendo alla catastrofe.
Si è scritto molto sulla veridicità delle ipotesi fantascientifiche del film, alla cui realizzazione ha collaborato il premio Nobel per la Fisica Kip Thorne. Non c’è dubbio che il regista Nolan abbia voluto forzare alcune risultanze scientifiche per darci una spiegazione dell’esistenza che, trascendendo il tempo e andando al di là dei meri calcoli scientifici e di ciò che oggi possiamo conoscere o anche solo ipotizzare con un fondamento di verità, ci è offerta in chiave puramente affettiva. E’ l’amore che ci tiene in vita e consente all’umanità di sopravvivere, portandolo verso un nuovo Pianeta e forse ad una nuova civiltà.
Il finale del film è apparentemente mieloso ed ha fatto storcere il naso a coloro che avrebbero preferito maggiore rigore scientifico e meno spazio ai sentimenti. Tuttavia non vi è dubbio che l’effetto prodotto dalla pellicola sia particolarmente potente ed in grado di rappresentare in maniera credibile lo stretto legame esistente tra la sopravvivenza dell’uomo e della sua civiltà come la conosciamo oggi, con la sua capacità di cura verso l’ambiente ma anche per il prossimo. In sostanza, la sapienza umana che giunge dalla conoscenza scientifica e quella culturale, anche di ispirazione religiosa, sono in ultima istanza concordi sulla necessità di sviluppare quella che, richiamando l’espressione di Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Sì, potremmo definire una ecologia integrale, che comprenda sia le dimensione umane che sociali.
Occorre prendere atto che per affrontare in maniera efficace il problema ecologico è necessario tenere a mente della profonda connessione esistente tra i vari aspetti che lo definiscono e che tornano spesso nel Documento citato ad esempio: “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita“.
Ma prima di andare oltre ed allargare il discorso a dismisura, vorrei tornare alla realtà quotidiana, fatta di notizie come questa che hanno ispirato questo articolo e che rappresentano un vero e proprio pugno nello stomaco.
Le piaghe della nostra società, già colpita e minacciata dall’inquinamento atmosferico e dai rischi globali derivanti dal cambiamento climatico ma anche dalle conseguenze di una diseguaglianza tra gli uomini sempre più marcata, trovano a mio avviso la loro radice nell’indifferenza. Gli effetti dell’espandersi della tecnologia nelle nostre vite ci ha reso interconnessi e solo apparentemente più legati. Eppure il più intenso legame tra gli uomini non potrà mai essere il risultato di un destino inevitabile del procedere del progresso tecnologico, come talune istanze del pensiero contemporaneo lasciano intendere. Esso rimane sempre e solo una responsabilità di cui ogni persona deve farsi carico. Sappiamo infatti che si può essere alienati pur vivendo connessi nella rete globale e che l’indifferenza e la distanza di ciascuno di noi dal resto della famiglia umana è spesso proporzionale all’incremento delle notizie che ci giungono continuamente da ogni parte del mondo.
Come solo le canzoni sanno fare, a volte il richiamo dei loro testi può essere di stimolo per una riflessione diffusa. E’ il caso di due brani molto profondi, musicati da altrettanti giovani autori italiani di cui citiamo alcune parti ma che vale la pena leggere e ascoltare integralmente. Da un lato Correre di Anastasio:
“Oso pensare a un pensiero gassoso, molecolare
Tra le molecole zero legame, basta guardare il tessuto sociale
Capisci perché stiamo fissi a giocare agli artisti ed a fotografare
Ci vogliamo affermare
Ma sbattiamo nel muro
Siamo chiunque e non siamo nessuno e io sono sicuro soltanto del fatto che sono insicuro
Passo le ore a aggiornare una pagina solo a vedere chi mi ama e chi no Per diventare quello che vuoi devi scordarti di quello che sei“.
Questo testo richiama la società liquida citata da Zigmunt Bauman, portandola nella sua estrema espressione da social network, in cui “l’amicizia” altro non è che un surrogato del nostro ego che rimane asservito ad un desiderio d’amore destinato a rimanere insoddisfatto.
A questa analisi lucida e impietosa fa da contro canto il testo di Abbi cura di me, di Simone Cristicchi:
“Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro
Basta mettersi al fianco invece di stare al centro
L’amore è l’unica strada, è l’unico motore
È la scintilla divina che custodisci nel cuore
Tu non cercare la felicità semmai proteggila
È solo luce che brilla sull’altra faccia di una lacrima
È una manciata di semi che lasci alle spalle
Come crisalidi che diventeranno farfalle
Ognuno combatte la propria battaglia
Tu arrenditi a tutto, non giudicare chi sbaglia
Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso
Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso
Attraversa il tuo dolore arrivaci fino in fondo
Anche se sarà pesante
Come sollevare il mondo
E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte
E ti basta solo un passo per andare oltre“.
Esso sembra quasi una necessaria evoluzione rispetto al testo di Anastasio. Qui l’io è decentrato per fare posto all’altro, nella cui relazione scocca la scintilla capace di illuminare di senso ogni momento della vita, anche quelli che apparentemente sembrano non averne.
Ecco che allora per combattere la piaga dell’indifferenza da cui scaturisce ogni male per l’uomo, siamo chiamati a rinnovare la nostra capacità di ascolto e di visione. Ciò fare sì che questa non indifferenza, questo prendersi cura dell’altro diffonda i suoi effetti benefici in forza di un contagio benigno, capace di contrastare il diffondersi dei mali che annientano l’uomo e il suo mondo. Recuperare uno sguardo attento al bisogno dell’altro è l’unico modo per smuovere il nostro cuore di pietra. E’ attraverso mezzi apparentemente poveri come la parola, la memoria e il dialogo, la compassione che possiamo tessere e mantenere saldi i legami nella nostra società liquida, in un lavoro quotidiano dal quale è impossibile ritirarsi, per il bene della società ma anzitutto per noi stessi.
Tutto ciò è il fondamento di quella tendenza dell'”essere per l’altro” che si oppone all’altra tendenza antropologica dell'”essere per se stessi”. Per chi ha fede, tutto ciò consiste nell’imitazione di Gesù Cristo. Egli, per il cristiano, è la parola definitiva su Dio. Non si può più parlare di Dio, parola fin troppo ambigua, senza parlare di Gesù che ce lo ha raccontato. Egli, nel suo incessante camminare tra gli uomini, fa della relazione con l’altro il primo passo, indispensabile, per la guarigione dell’uomo stesso, consapevole che l’amore non è innocente ma compromette e contamina. Come ci ricorda Bobin: “Quello che vuole, non per sé lo vuole. Quello che vuole è che noi ci sopportiamo nel vivere insieme. Non dice: amatemi. Dice: amatevi“.