Matteo Salvini ad una settimana dalla chiusura della campagna elettorale ha arringato la folla in piazza Duomo a Milano chiudendo il suo discorso col rosario in mano, giurando sulla Costituzione e sul Vangelo e citando il detto evangelico “gli ultimi saranno i primi”.
Tralascio rosario e giuramento (che di per sé è già un rinnegamento del detto di Gesù “non giurare”) per soffermarmi sulla citazione evangelica. Per quanto il riferimento a quel detto possa apparire innocuo e finanche ispirare una certa simpatia, è degno di nota che in bocca a quel politico il significato del verso evangelico venga pervertito.
La precisazione è tanto più doverosa visto che il leader in questione vuole accreditarsi dinanzi all’elettorato di fede cristiana, come portatore e rappresentante dei suoi valori.
Salvini cita il detto per rivendicare verso il suo elettorato il principio meritocratico “Lavoro, guadagno, dunque pretendo!”.
Gesù, invece, riporta quel detto al termine del racconto di una parabola (Matteo 20,1-16) in cui si narra di alcuni lavoratori che protestano col padrone della vigna per aver riconosciuto lo stesso compenso sia ai lavoratori della prima ora che a quelli dell’ultima. Nulla di più lontano dalla logica salviniana.
Nella parabola, infatti, c’è un’applicazione scandalosa del principio di Giustizia che è subordinato alla Misericordia. Il racconto parabolico di Gesù è un invito a non ripiegare il nostro sguardo su noi stessi bensì a guardare con benevolenza a chi si trova in situazioni più difficili della nostra, quasi sempre causate da circostanze non volute da chi vi si trova invischiato. Ed è anche una messa in guardia dal vivere con invidia verso gli altri.
Proprio l’opposto di quanto viene suscitato continuamente da Salvini che invece vorrebbe farsi portatore di valori cristiani i quali o sono apertamente contraddetti dalle sue proposte politiche, o finiscono per essere normalizzati e banalizzati.
A dimostrazione che ciò che Salvini spaccia come buonsenso politico è, nel migliore dei casi, solo superficialità.