Ragionando sulle sardine da qualche giorno, non riuscivo a definire il fenomeno. Stasera un post polemico mi ha riportato in testa il famoso verso finale di una poesia. In “Non chiederci la parola”, Eugenio Montale contrappone la figura dell’uomo che se ne va sicuro con le proprie certezze, come un uomo al sole che non si preoccupa di proiettare la sua ombra su un muro in rovina, all’immagine di uomo fragile, dubbioso, incerto, che sa soltanto chi non vuole essere, a chi non vuole assomigliare.
Mi è sembrata perfetta per descrivere la contrapposizione tra la sicumera del leader leghista (che proietta la sua paurosa ombra su un’Italia scalcinata) e per spiegare come lui e i suoi elettori, critici delle sardine, non comprendano coloro che scendono in piazza, senza simboli e senza bandiere, solo per dire, oggi, chi non sono e a chi non intendono aderire.
Tutto ciò è poco per un’alternativa politica ma del resto non è questo il compito di quelle piazze. Che indicano invece la disponibilità di un popolo pronto a spendersi per un modo altro di essere e di fare politica.
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Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Eugenio Montale, Non chiederci la Parola, Ossi di Seppia, 1925