Just Mercy. Il diritto di opporsi

“Il diritto di opporsi” è un libro necessario per capire ciò che sta accadendo in USA da alcuni mesi a questa parte.
Dietro l’aurea di efficienza che si cela dietro il sistema giudiziario americano visto da oltreoceano, l’autore e protagonista del libro, l’avvocato Bryan Stevenson, racconta attraverso storie vere, il lavoro svolto con la sua associazione contro la pena di morte, a fianco degli invisibili delle carceri americani, manco a dirlo poveri e neri, vittime di clamorose ingiustizie.

Carcerazioni di massa, condanne a morte inventate, lavori forzati, minorenni condannati all’ergastolo, misure draconiane quasi sempre dirette verso la parte più povera e debole della popolazione, hanno contribuito a far crescere la paura ma anche la rabbia di un’intera comunità.

“Il diritto di opporsi” è il titolo di un libro (e di un film) che nella versione originale sarebbe invece “Just Mercy” ovvero “Sola grazia”.
La traduzione del titolo ovvero la sua sostituzione, come spesso fanno editori e produttori italiani, è un tradimento del libro o quantomeno del significato principale che l’autore avrebbe voluto dare alla sua opera che è appunto quella di dare misericordia, perdono. Del resto potrebbe sembrare strano, al
lettore distratto, che un avvocato americano di successo usi il termine “mercy” in un libro che narra di processi, casi e sentenze.

Non lo è nel momento in cui il lavoro di Stevenson (laureato in filosofia prima di intraprendere lo studio del diritto) diventa occasione per una riflessione più profonda sui temi con cui l’autore si è confrontato nel corso di una vita intera.
È la vicinanza praticata a fianco dei sofferenti che dà modo di comprendere che “Non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono”, come disse Giovanni Paolo II. La giustizia è veramente tale quando non si trasforma in vendetta e ambisce a non ridurre il reo all’atto che ha commesso.

Anche per questo, come ci fa intendere l’autore, la crisi della società americana non potrà essere superata se non con un riconoscimento delle profonde ingiustizie subite dalla comunità afroamericana nel corso della storia e da un processo di conciliazione che metta fine alla segregazione razziale che continua a perpetrarsi sotto varie forme.

Allo stesso modo, noi che assistiamo a quanto sta avvenendo di là dell’oceano, non siamo immuni dalla tendenza a criminalizzare i poveri e gli stranieri. Per cui siamo chiamati a non perdere quella pratica di compassione che pure caratterizza ancora tanta parte del tessuto sociale, respingendo i tentativi politici di rendere più cinica la nostra società.

L’assenza di compassione può corrompere la dignità di una comunità, di uno Stato, di una nazione.“ (pag. 28).

L’angelo della storia

Ma se io fossi vissuto in Germania ai tempi del nazismo avrei contrastato Hitler o avrei seguito la maggioranza?

È una domanda assurda perché è impossibile rispondervi. Eppure è bene tenerla presente.
Perché ci dice l’importanza di studiare la storia per fare memoria degli avvenimenti, per il rispetto che si deve alle vittime e per il rispetto che dobbiamo a noi stessi nella costruzione di una società più umana.
La statua imbrattata di Montanelli è frutto di un cortocircuito tra la storia in gran parte ignorata da noi stessi (le leggi razziali italiane e le sue conseguenze sulle colonie) e la spinta a manifestare solidarietà alle vittime della storia di ieri e di oggi.

Il passato non è muore mai. E non è nemmeno passato” William Faulkner

Se ha poco senso imbrattare e distruggere le statue (di cui si può democraticamente ottenere la rimozione) inseguendo una furia iconoclasta che finisce per dividere il mondo in buoni e cattivi, la sfida è piuttosto quella di provare a declinare diversamente la pace e la giustizia come capacità di costruire una cultura del conflitto in grado di evitarne le forme di degenerazione violenta, di far tesoro del passato e di descrivere il presente.
Ad esempio riconoscendo che la convivenza tra popoli e culture diverse non è impossibile e se lo è non può esserlo solo quando un popolo regni su altri (come pensava Montanelli).

Nella tesi IX che è al centro delle sue riflessioni sul concetto di storia Walter Benjamin scrive:

«C’è un quadro di Klee che s’intitola “Angelus Novus”. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta»

Paul Klee, Angelus Novus, 1920

Un mondo riconciliato, secondo Benjamin, è anzitutto un presente che ha fatto i conti col passato, ricomponendo i pezzi infranti dell’umanità con l’oro, secondo la tecnica giapponese kintsugi, affinché la memoria delle ferite non sia cancellata. Così potrà forse essere raggiunto quel nuovo umanesimo che consentirà di dire basta alle ingiustizie.

Conoscere e comprendere la storia è dunque la parola chiave per costruire un umanesimo che attraverso azioni e linguaggio muovi renda giustizia alle vittime della storia, di ieri e di oggi.